Il burnout dell'insegnante

In una ricerca condotta sul tema dello stress nella scuola su insegnanti di scuole elementari, medie inferiori e superiori, pubblicata in Come logora insegnare, a cura di Luigi Acanfora, emerge che gli insegnanti, nonostante si trovino a vivere in situazioni di pressione, continuano a mantenere alta la considerazione che attribuiscono al proprio lavoro ma che, nel contempo, avvertono in alte percentuali stati d’ansia e tensione emotiva (55% circa degli intervistati) e la fatica (32%) dovute al carico di lavoro.


< Lo stress accompagna la vita di ognuno di noi sia in ambito familiare che in ambito lavorativo e alla sua origine concorre una molteplicità di fattori (risposta fisica, mentale, emotiva) che la persona mette in atto quando incontra stimoli che gli si oppongono (conflitti, sollecitazioni, problemi ect).
Se gli eventi stressogeni si protraggono nel tempo possono indurre la sindrome del burnout o esaurimento emotivo. Gli autori infatti considerano il buornout un processo e non un evento.  L’insegnante può entrare in burnout quando non riesce più a rispondere in maniera efficace e positiva ai bisogni degli allievi, percepisce le richieste proprie della professione insopportabili e si sente apatico, assente, demotivato.
Maslach (1986) ha definito la sindrome del burnout come risultante di tre fattori principali:
  - emotional eshaution and fatigue (affaticamento fisico ed emotivo) - depersonalisation and cynical attitudine ( depersonalizzazione: atteggiamenti distaccati e cinici nei confronti dei colleghi e degli studenti)
- lack of personal accomplishment (ridotta realizzazione personale).
L’affaticamento fisico ed emotivo
E’ la sensazione di essere in continua tensione, di non riuscire a rispondere in maniera adeguata alle richieste che si ricevono in quanto non si hanno risorse a sufficienza, di sentirsi incapaci di rilassarsi, ormai completamente privi dell’energia per affrontare nuove esperienze lavorative. A livello fisico si prova molta fatica, frequenti mal di testa, insonnia, disturbi gastrointestinali. A livello psicologico bassa autostima, scarsa fiducia nelle proprie capacità, poca empatia, poca voglia di ascoltare, senso di inadeguatezza e di colpa.
La depersonalizzazione
E’ la risposta negativa nei confronti dei propri alunni. Si mantiene il più possibile una distanza, li si accoglie in modo impersonale, si evita il coinvolgimemto emotivo e li si considera tutti uguali senza riconoscere più le qualità che li rendono unici. Si protegge se stessi dall’esaurimento attraverso il cinismo, la freddezza, la distanza. Un aspetto da sottolineare è la presenza del senso di colpa.
La ridotta realizzazione personale
E’ la sensazione di non essere più adeguati a svolgere il proprio lavoro. Cala la motivazione al successo, diminuisce l’autostima e può emergere la depressione. A volte accade che il soggetto senta il bisogno di cambiare lavoro. Questa ultima dimensione è correlata direttamente con le altre due.
Tra le tre dimensioni presentate la depersonalizzazione è quella che più caratterizza il burnout ma anche la meno analizzata nelle ricerche sullo stress.
Per distinguere il burnout dallo stress occorre analizzare i sintomi legati ai rapporti interpersonali propri delle relazioni d’aiuto. Secondo il modello di Maslach quindi vanno studiate le caratteristiche delle relazioni di aiuto sia dal punto di vista quantitativo (durata, frequenza) che qualitativo (intimità, distanza interpersonale), ed è importante occuparsi anche delle caratteristiche dei soggetti che più rischiano il burnuot.
Maslach (1997) nel suo modello raggruppa le cause oggettive del burnout in sei categorie: carico del lavoro, autonomia decisionale, gratificazioni, senso di appartenenza, equità, valori. L’autrice evidenzia che il buornout è determinato prevalentemente da cause oggettive mettendo in secondo piano le cause soggettive legate alla personalità dell’insegnante che pur sono correlate positivamente (Fontana 1993).
Folgheraiter (1994) aggiunge al modello di Maslach anche un ulteriore elemento: “la perdita del controllo”, ossia la sensazione di avere smarrito quel senso critico che fa assumere all’esperienza lavorativa la giusta dimensione. Il lavoro così assume un’importanza smisurata e invade anche la sfera personale e relazionale impedendo all’individuo di staccare dal lavoro.
In una ricerca condotta sul tema dello stress nella scuola su insegnanti di scuole elementari, medie inferiori e superiori, pubblicata in Come logora insegnare, a cura di Luigi Acanfora, emerge che gli insegnanti, nonostante si trovino a vivere in situazioni di pressione, continuano a mantenere alta la considerazione che attribuiscono al proprio lavoro ma che, nel contempo, avvertono in alte percentuali stati d’ansia e tensione emotiva (55% circa degli intervistati) e la fatica (32%) dovute al carico di lavoro. Tale processo stressogeno può trasformarsi in burnout.
Da questa indagine emerge che i docenti vorrebbero avere più tempo da dedicare ai propri allievi anziché agli aspetti burocratici della professione: compilazioni di documenti, riunioni di diversi generi e aggiornamenti spesso imposti. Il 61% degli intervistati considera il proprio lavoro scarsamente retribuito.
Diversi altri dati emersi dall'intervista sono interessanti, come la sensazione di emarginazione degli insegnanti di sostegno rispetto ai loro colleghi curricolari, nonché il loro disagio nascosto nei confronti dei propri alunni portatori di handicap; come la difficoltà ad ammettere che lo stress possa anche dipendere da fattori strettamente legati alla personalità; come il rifiuto ad accettare l'aiuto di esperti (medici, psicologi, counselor ecc.) nella risoluzioni dei problemi professionali legati allo stress.
Negli ultimi vent’anni in tutto il mondo sì è affrontato il tema del burnout degli insegnanti e nonostante non si sia ancora arrivati ad un corretto trattamento terapeutico standardizzato, per questa sindrome si sono individuati:
i livelli oggettivi e soggettivi che condizionano l’individuo
il profilo dell’insegnante a rischio burnout
 le zone in cui è più facile si sviluppi il burnout.
Le strategie di fronteggiamento dello stress: le coping strategies
Le strategie di fronteggiamento delle situazioni di stress messe in atto dagli individui sono classificate da Cooper (1993) in quattro categorie:
- Azioni dirette. Si affronta la situazione positivamente
- Azione diversive.  Si schiva l’evento con atteggiamento discaccato e apatico
- Azioni di fuga. Si abbandona la situazione stressante
- Azioni paliative. Si ricorre a sostanze di conforto (caffè, alcool, fumo o farmaci per sostenere le situazioni stressanti).
Gli insegnanti possono manifestare atteggiamenti di distacco psicoemotivo anche attraverso l’adozione di strategie di insegnamento esclusivamento tradizionali, applicando in modo rigido la programmazione, attribuendo gli scarsi risultati ottenuti dallo studente alle sue scarse capacità intellettive, non organizzando percorsi personalizzati e calibrati sul reale contesto classe.
Mark (1990) individua invece le strategie di coping che la persona hardy (tenace) mette in atto per fronteggiare il burnout :
- consapevolezza del ruolo assunto nella società che le permette di ridimensionare le esperienze di vita;
- percezione delle novità come stimoli e non come insidie;
- senso di controllo nei confronti degli eventi.
 I fattori protettivi
Numerose ricerche testimoniano come numerosi sono i fattori che hanno una funzione di protezione nei confronti dello stress, tra questi troviamo:
La famiglia. Le relazioni familiare forniscono una maggiore conoscenza ed esperienza sui problemi emotivi e relazionali
Il genere. Le donne hanno maggiori risorse emotive ed affettive
L’età.L’esperienza lavorativa fornisce più strumenti per affrontare i problemi che si presentano
Ancora, un ambiente sociale accogliente, il supporto dei colleghi e il senso di autoefficacia percepita.
 


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