Non esistono classi buone o classi cattive

Si sta bene in una classe quando le relazioni al suo interno sono positive e si è creata una dinamica intersoggettiva di qualità. Questo non è un evento ineluttabile ma dipende da chi influenza, con le sue scelte, il clima relazionale di classe.


La classe è una realtà particolarmente complessa, formata da molteplici dimensioni, tutte ugualmente importanti. Spesso invece, nelle azioni e nella quotidianità, si privilegia la dimensione cognitivo-didattica dimenticando o sotto stimando la dimensione affettivo-relazionale e il valore e lo spessore che l’esperienza educativo-didattica ha nella costruzione dell’identità dello studente.
Partire da questa consapevolezza permetterà all'insegnante di orientare il proprio intervento educativo-didattico per promuovere un clima relazionale positivo e trasformare l’aggregato burocratico di alunni che formano una classe, in un gruppo che favorisca la maturazione della personalità di ogni alunno.
Così come non esistono bambini buoni o bambini cattivi, non esistono classi buone o cattive, a seconda dei cicli scolastici e degli anni. Si sta bene in una classe quando le relazioni sono positive, quando si è creata una dinamica intersoggettiva di qualità. Questo non può essere considerato un evento ineluttabile ma dipende da chi influenza, con le sue scelte, il clima relazionale di classe: l’insegnante.
I bambini vivono l’esperienza scolastica con la testa e con il cuore e l’insegnante deve concretamente valorizzare questi due aspetti costitutivi dell'identità del bambino. La scuola non deve mai perdere la cognizione di essere lo strumento dello sviluppo della personalità del futuro cittadino in quanto è attraverso le esperienze a scuola che i bambini e i ragazzi si sperimentano come individui all’interno di un ambiente sociale.
La scuola è il primo contesto in cui si sperimenta la possibilità di non farcela,  si commettono errori o, al contrario, si assapora la fiducia nelle proprie possibilità personali. Le esperienze fatte a scuola condizioneranno tutte le azioni future dello studente.
La cura della dimensione relazionale, quindi, non può essere considerata un aspetto secondario, lasciata alla causalità ma diventare aspetto di progettualità e intenzione educativa.
L'insegnante dovrà impostare un intervento educativo-didattico efficace che promuova nell’alunno un’immagine positiva di sé e che gli permetta di sviluppare al massimo le proprie potenzialità. Per fare questo dovrà avere ben chiara la differenza tra comportamenti di approvazione e comportamenti di accettazione.
L’accettazione prevede il riconoscimento del valore dello studente a prescindere dalle sue azioni quotidiane, dalla capacità e dai risultati che raggiunge ed è attraverso l’accettazione che lo studente matura una positiva immagine di sé.
L’approvazione è invece legata alle azioni messo in atto dal ragazzo che sono adeguate alle richieste dell’insegnante.
E se lo studente mette in atto comportamenti o azioni non adeguate alle richieste dell’insegnante? In tal caso occorre che l’insegnante disapprovi il comportamento legandolo al principio della realtà ma non utilizzi il comportamento sbagliato dello studente per fare opera di svalutazione. Questo potrebbe diventare è un terreno scivoloso perché il passaggio dalla disapprovazione alla svalutazione a volte è immediato e poco controllato e l’azione di svalutazione va ad incidere sullo sviluppo dell’immagine positiva di sé del bambino.
Gli insegnanti riferiscono sempre più di classi disgregate, di comportamenti problema, di incapacità da parte degli allievi di instaurare relazioni significative e positive con i propri compagni, incapacità di tollerare la frustrazione ed emerge la loro impotenza e preoccupazione. Come trattare quindi i comportamenti problematici? A volte invece si oscilla tra la tentazione di attribuire questi comportamenti al contesto familiare di origine e la tentazione di fare gli spettatori delle situazioni, agendo senza una progettualità che vada oltre la gestione immediata del problema.
Occorrerebbe considerare i comportamenti problematici come indizi sui quali porsi delle domande, come parole da ascoltare per individuare i bisogni nascosti, al fine di aiutare il bambino a maturare la sua identità positiva.  Diventa importante agire sulla dimensione affettiva-relazionale in modo intenzionale, pensando alla dimensione socio-affettiva come ad una delle dimensioni da progettare consapevolmente. 


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